“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”. (Bertolt Brecht)

sabato 30 agosto 2008

Appello alla mobilitazione contro la privatizzazione della Scuola Pubblica in difesa della libertà d’insegnamento e dei diritti dei lavoratori





Lo stato d'animo dei lavoratori della Scuola oscilla dallo sconforto alla rabbia nel rilevare la persistente inadeguatezza del sindacato e delle opposizioni nel contrastare il processo di privatizzazione dei beni comuni in generale e dell’istruzione in particolare, come se non esistesse da parte di tali soggetti la consapevolezza che ci si stia avviando precipitosamente ad un punto di non ritorno, ragion per cui occorre ora e subito senza alcun indugio una massiccia mobilitazione per contrastare un attacco senza precedenti ai principi della Costituzione, ai diritti dei lavoratori e al loro salario e all’etica stessa della convivenza civile.Il mondo della Scuola è molto preoccupato dalle nuove norme che ridisegnano il sistema dell’istruzione, già peraltro dissestato dai provvedimenti che si sono susseguiti negli ultimi tre lustri, le quali rappresentano il grimaldello per scardinare in via definitiva ciò che resta della Scuola Pubblica: si inquadrano infatti in una strategia più ampia di demolizione di tutte le strutture pubbliche e di disintegrazione dei diritti di chi vi lavora al fine di velocizzare il trasferimento di servizi e funzioni pubbliche ai privati.

La riduzione del personale che interessa tutto il pubblico impiego e riguarda la Scuola nella misura di 100.000 docenti e 43.000 del personale ATA e la chiusura di più di 2000 istituti nei piccoli comuni determinerà il collasso di un sistema fiaccato peraltro dall'enorme riduzione dei finanziamenti (circa 8 miliardi di euro entro il 2012). Infatti, come in altri settori, il governo è deciso ad imporre alla Scuola con la forza le sue scelte, con una prova “muscolare” esternata mediante l’interessamento allo stesso disegno di ben tre Ministeri: MIUR, P.A. e MEF, con il cosiddetto “commissariamento” economico del Ministro Gelmini e con l’introduzione di regole neo-autoritarie che pretendono di coprire il vuoto creato con la riduzione della Scuola ad un involucro pressoché vuoto da dare in pasto all’iniziativa privata.Premesso che per poter ricostruire in Italia una Scuola Pubblica che sia sanata dai guasti di questi anni, è necessario abrogare le leggi Moratti, alle quali si riferiscono i pessimi interventi legislativi di questo governo, riteniamo indispensabile:• Il ritiro del DDL n. 953/2008 Aprea, proposta di legge anticostituzionale che porterebbe a compimento la completa distruzione della Scuola dello Stato, visto tra l’altro che ogni singolo istituto avrebbe un’organizzazione di tipo aziendale, mentre gli insegnanti perderebbero totalmente la loro funzione, in quanto privi di libertà reale di insegnamento.• Il ritiro del DDL Gelmini, presentato il 1 agosto 2008, che tra l’altro introduce, in linea con il disegno di legge Aprea, l’assunzione diretta del personale a tempo determinato con nomina biennale da parte dei dirigenti scolastici.• L’eliminazione di tutte quelle norme, presenti in leggi e decreti vari, come il DL n. 112/2008, il DL n. 93/2008 e il DL n. 97/2008, che stravolgono la Scuola, ne deregolamentano il lavoro e le tolgono la possibilità di svolgere quel ruolo che le prescrive il testo Costituzionale, prevedendo tra l’altro tagli su tagli, incremento del rapporto alunni-docenti, accorpamento di scuole e di classi di concorso (flessibilità), diminuzione del tempo scuola, “rimodulazione dell’organizzazione didattica nella primaria” (maestro unico?). La logica di tutto si riassume nel disegno di far cassa distruggendo la Scuola e svendendola ai privati.Pertanto le nostre rivendicazioni riguardano i seguenti punti:

La difesa del carattere statale della Scuola di tutte e di tutti, in modo che venga garantita l’esistenza delle scuole private, ma senza oneri per lo Stato, come prevede la Costituzione.

L’opposizione al disegno di aziendalizzazione della Scuola e dell’ingresso dei privati nella gestione degli istituti.

La difesa dello stato giuridico professionale degli insegnanti e il rifiuto di ogni meccanismo di carriera pseudo-meritocratica, come quello previsto nel disegno di legge Aprea, con concorsi e livelli di carriera, che romperebbero i rapporti esistenti nella Scuola ancora prevalentemente solidaristici, propri di un ambiente educativo, e instaurerebbero inadatti rapporti concorrenziali tipici delle aziende.

La difesa della libertà di insegnamento, baluardo costituzionale della laicità e della democrazia.

La salvaguardia del contratto nazionale e il contemporaneo rifiuto della possibilità di assunzione da parte dei dirigenti scolastici, perché l’insegnante, nella sua libertà garantita dallo Stato democratico, non può dipendere della singola scuola ma dal sistema complessivo della pubblica istruzione.

L’assunzione di tutti i precari e il superamento del precariato, che colpisce il lavoratore come persona e non permette alla Scuola di funzionare con continuità garantendo l’attuazione dei progetti didattici e la crescita dei rapporti interpersonali allievi-insegnanti.• Il rifiuto di una deriva regionalistica dell’istruzione, quale emerge dalle strampalate proposte della Lega, che vorrebbe affidare le cattedre ai docenti autoctoni.

La difesa dei diritti e delle tutele dei lavoratori della Scuola e, il rigetto di tutte quelle norme vessatorie, come quelle su permessi e malattie, volti a creare un clima denigratorio nei loro confronti. Essi devono poter svolgere il proprio ruolo con il rispetto di cui hanno diritto e senza preoccupazioni estranee al delicato lavoro che hanno il compito di svolgere.

L’opposizione ai tagli di cattedre e di finanziamenti che rendono impossibile insegnare, perché in classi sovraffollate e senza finanziamenti viene reso vano ogni progetto didattico e reso impossibile l’apprendimento e la crescita educativa. Non c’è qualità senza i mezzi per fare buona scuola e questa, in nome del risparmio a senso unico, non può essere ridotta ad una caserma con docenti “militarizzati” e ridotti a “fustigatori” dei propri alunni.

La difesa del tempo scuola, normale, pieno e prolungato con doppi insegnanti, perché l’apprendimento avviene solo con i tempi distesi e vanno rispettati i processi cognitivi di tutte e tutti.

La difesa dell’obbligo scolastico e il rifiuto del doppio canale morattiano, che reintroduce l’incivile divisione tra scuola vera e scuola per famiglie svantaggiate.

La salvaguardia dell’insegnamento di sostegno e del diritto all’istruzione per tutti, senza discriminazioni etniche e linguistiche e quindi difesa dell’insegnamento di sostegno in classe e per tutte le ore necessarie e garanzia dell’ausilio didattico dei mediatori linguistico-culturali per assicurare il diritto allo studio degli alunni stranieri.

Consapevoli che per evitare il baratro e rompere lo stato di assedio che vede alleati governo, poteri forti e mezzi di informazione occorre una risposta immediata, determinata e sinergica di tutti, ci rivolgiamo a quanti sentono l’importanza del ruolo svolto nella società dalla Scuola dello Stato e, in particolare, a tutte quelle persone, quei movimenti, quei soggetti politici, sindacali e associativi che in questi giorni hanno già elevato la loro protesta o comunque in passato hanno lottato contro lo sfascio prodotto dagli scorsi governi per iniziare a far sentire la nostra voce di protesta.Inoltre facciamo appello a tutti i comitati presenti nel paese già in parte organizzati in una rete di mutuo soccorso, visto che ci troviamo di fronte ad un attacco a mitraglia da parte di questo “regime” contro i beni comuni essenziali per la vita civile; infatti, il disegno che colpisce la Scuola è un’articolazione di quello complessivo di stampo autoritario che distrugge l’ambiente e uccide nei territori i cittadini per mancanza di tutele, che militarizza le città, perseguitando gli immigrati, i rom e le persone in genere attraverso ridicole proibizioni, che salva coloro che commettono reati mentre permette la strage di operai uccisi per mancanza di sicurezza e li massacra con una deregolamentazione selvaggia dei rapporti di lavoro.Crediamo che solo lottando tutti insieme per il bene di tutti possiamo vincere questa battaglia di civiltà e per questo chiediamo di iniziare con il segnale di una firma di tutti a questo appello!


Il Forum Insegnanti


giovedì 28 agosto 2008

RICOMINCIAMO DALLA SCUOLA.........e dalla sua "distruzione"




Si vogliono affrontare ancora una volta, l’ennesima, i nodi problematici dellascuola italiana, la domanda da porsi è una sola. È davvero riformabile la scuolaitaliana? Perché, a giudicare dalle vicende che hanno coinvolto le diverse fazionipolitiche, si nota una quasi totale indisponibilità al riconoscimento delle sceltedell’altro, senza il quale riformare la scuola risulta praticamente impossibile.La ministra gelmini(volutamente in minuscolo)come molti altri ministri del suo governo,sta solo facendo oltre che la solita demagogia ,una gran confusione, un baccano che rasenta l'inciucio(vedi esternazioni a proposito dei prof.del sud).La signora vuol risolvere i problemi della scuola facendole fare un balzo indietro di trent'anni.E' chiaro che di scuola non capisce un tubo.Tra voto di condotta,grembiulini(griffati),maestro unico e prof. giudicati in base alla provenienza geografica si è completamente dimenticata del dibattito pedagogico-didattico su cui vi è un fiume di letteratura.A proposito della questione insegnanti, propongo la lettura di alcuni paragrafi della mia tesi di Laurea che tratta proprio del disagio della classe docente nella scuola italiana contemporanea, analizzata da un punto di vista socio-psicopedagogico, punto di vista, a mio avviso, fondamentale per carpire i veri mali della scuola e più in generale della nostra società ipercomplessa.Punto di vista completamente ignorato da questa "specie" di ministro catapultata in questo ruolo senza averne le competenze.In questi paragrafi si indaga,inizialmente, la paideia del nostro tempo,punto di partenza cruciale per carpire questioni fondanti della crisi.Vi chiedo solo un pò di pazienza per leggere fino in fondo.



2.2 Difficoltà e tensione della professione insegnante a fronte di una paideia scissa
L’analisi dell’immagine e delle condizioni degli insegnanti all’interno di un paese rappresentano un aspetto chiave per la comprensione degli atteggiamenti e dei comportamenti che, in generale, i cittadini (insegnanti compresi) assumono nei confronti della scuola e dei processi educativi.E’ indispensabile, pertanto, tenere in considerazione tutti gli aspetti: le opinioni dei singoli individui, in qualità di attori interni ed esterni al sistema scuola, il sistema istituzionale entro cui si discutono gli orientamenti politici e legislativi della scuola, i processi di comunicazione/diffusione delle informazioni attraverso il ruolo svolto dai mass media, lo stato di salute e di disagio della classe docente come elemento di oggettività inconfutabile.Gli atteggiamenti nei confronti della scuola e degli insegnanti sono spesso il frutto di facili categorizzazioni e pregiudizi che spesso impediscono di identificare i processi di cambiamento in atto, riducendone la portata e l’importanza.Che la scuola attraversi un periodo di crisi è quasi un luogo comune in Italia. Da più parti prevalgono critiche e lamentele. La domanda cruciale che ci si pone un po’ ovunque è relativa alla presunta inadeguatezza dei sistemi scolastici nel far fronte alle domande innescate dal ritmo accelerato del cambiamento.La professione docente è un tipo di professione sottoposta per definizione a tensioni e pressioni contrapposte. La prima tensione riguarda appunto il rapporto tra tradizione e innovazione della scuola in generale.Per certi aspetti gli insegnanti si trovano inevitabilmente a dover mediare tra le istanze della conservazione e della trasmissione della tradizione culturale, della quale si sentono eredi, e le istanze di innovazione che provengono dai settori di punta dell’economia e della cultura.La seconda tensione riguarda il ritrovarsi tra aspettative a volte potenzialmente inconciliabili: gli alunni, le loro famiglie, i dirigenti scolastici, i colleghi della stessa classe e quelli della stessa disciplina e, sempre più spesso, le agenzie esterne che direttamente o indirettamente intervengono nelle pratiche di funzionamento delle istituzioni scolastiche. A queste difficoltà si aggiunge un altro fattore di portata molto generale. L’estensione dell’istruzione primaria e secondaria a quote crescenti della popolazione ha inserito nei percorsi scolastici quote crescenti di bambini e giovani provenienti da condizioni culturali non sempre avvezze alla cultura scolastica. Questa quota di studenti difficili rappresenta nello stesso tempo una sfida e una minaccia in quanto pone costantemente gli insegnanti di fronte alla possibilità di sperimentare la riuscita, oppure il fallimento della propria azione educativa. Per l’insegnante la probabilità dell’insuccesso rappresenta una minaccia costante al proprio sentimento di autostima e induce, in modo quasi inevitabile a strategie di razionalizzazione e di difesa.[1]Queste ragioni di crisi, a nostro avviso, vanno indagate anche in modo più profondo e cioè dal punto di vista della riflessione pedagogica .In un saggio, Giuseppe Acone (2000)[2] scrive che se i termini generali della mappa dei problemi pedagogico - educativi del nostro tempo sono più o meno quelli connessi al difficile rapporto tra continuità e discontinuità e tra innovazione e tradizione, la trama della complessità della vita sociale e della sua dinamica culturale, riferita a questioni educative, implica un orizzonte che va disegnato come paideia del tempo storico in cui si vive.Il termine paideia configura una cultura educativa o anche un modo di leggere la coscienza culturale di un tempo. Si tratta di una coniugazione della società e della cultura sub specie educationis. E, pertanto appare del tutto ovvio che quelle che dalla modernità in poi appaiono come le <> prevalenti dell’educazione delle giovani generazioni finiscono per essere al centro del discorso e della prassi pedagogico - educativa. La famiglia è l’istituzione educativa (ovviamente non solo educativa) che i tempi nostri ereditano dalla tradizione religiosa, etica, giuridica e pedagogica.[3] La famiglia, come afferma Parsons, è stata nella civiltà occidentale la forma di mediazione educativa fondamentale tra individuo e società, tra masse e appartenenza alle generazioni umane <> da relazioni affettive oltre che funzionali. Nel nostro tempo in cui appaiono interrotti tutti i circuiti educativi della continuità/tradizione/memoria, appare pressante l’esigenza di ridefinire la valenza educativa della famiglia. Oggi , dice Acone, appare del tutto evidente la sconnessione della figura della famiglia dagli aspetti sistemici della cultura egemone e dalla radicalizzazione secolarizzante. La famiglia, ereditata dalla tradizione religiosa-civile della memoria antro-poetica ispirata dalla civiltà cristiana, si riduce ad un’ opzione tra le mille altre , con la conseguenza che la figura culturale educativa centrale finisce per essere l’individuo che educa l’altro individuo senza mediazioni di altro tipo. La frantumazione della famiglia della tradizione etico - civile occidentale da sempre ispirata all’orizzonte culturale di matrice cristiana non può non avere conseguenze nella forma della paideia del nostro tempo. La morte della famiglia educante è un altro tratto decisivo di un tempo in cui stanno morendo molte cose senza che altre ne nascano e vengano a nuova vita.[4]Il secondo circuito interrotto tra tradizione e innovazione, continuità e discontinuità è quello di una scuola educante.La scuola si è sempre presentata, afferma ancora Acone, come l’altra forma di “guarnizione” del sistema sociale e come l’altro anello del “circuito” tra società adulta e società delle giovani generazioni e come grande istituzione dei processi di modernizzazione nella loro forma di rappresentazione simbolico – culturale. E’ assolutamente ineludibile il rapporto scuola/modernità, scuola/processi di modernizzazione. Nel nostro tempo la scuola di massa è un prisma con molte facce. Quella che interessa di più in sede pedagogica è la faccia istruttiva/educativa.[5]E’ attraverso la scuola che si fa essa stessa paideia vivente e operante, che si articola la forma utopica della democrazia come qualità educativa della convivenza organizzata. Gli aspetti qualitativi dell’utopia della scuola come grande interprete di una sorta di società educante si sono realizzati molto meno. In termini pedagogici si è realizzata largamente la faccia istruttiva della scuola di massa, in misura assai minore la faccia educativa. La scuola diviene da un lato una grande agenzia di socializzazione/istruzione e dall’altro lato, almeno nelle società democratiche aperte e pluraliste, una delle forme di convivenza e tolleranza che, in teoria, avrebbe dovuto costituire la coniugazione forte tra tecniche e valori. Questo secondo aspetto della scuola di massa si è venuto sempre più oscurando.Il tema dei valori emerge come fondamentale in tutte le problematiche che riguardano l’educabilità dell’uomo.Nei termini della organicità educativa si è dovuta registrare una sorta di oscuramento progressivo delle ragioni della scuola aperta a tutti sul finire del XX secolo. Processi profondi hanno costituito una sorta di cambiamento di terreno dell’educazione scolastica in società sempre più secolarizzate e laicizzate. La scuola italiana – come quella di tutti i paesi avanzati – è in questa fase storica tra una sorta di deriva sistemica e una grave crisi di identità. Le difficoltà più rilevanti – d’ordine pedagogico e didattico- sono anche legate al cambio di mentalità e alla forma di rovesciamento assunta da un’epoca che oscilla tra un residuo polo umanistico – religioso e un tendenziale polo nichilistico – tecnocratico. Questo tempo di vincente mix tra neonichilismo e scientismo rimescola tutte le carte non solo dell’etica ma anche dell’educazione. Ed origina dannose rotture. Questa scissione appare ancora più netta allorché si tratta di scuola e di educazione, di pedagogia e di bambini e adolescenti. La paideia scissa del nostro tempo – tra famiglia negata e scuola dimezzata - assume anche la scissione tra innovazione e tradizione, continuità e discontinuità, generazioni adulte e generazioni fanciulle – adolescenti. La paideia scissa trova nella scissione tra istruzione ed educazione la sua configurazione nella scuola, e trova nella famiglia una sorta di smemoratezza educativa che fa in campo educativo il paio con quanto Heidegger chiamava “oblio dell’essere”. La crisi della paideia familiare e scolastica della post-modernità è tutta dentro tali drammatiche “scissioni”. La prima cosa che balza agli occhi sta nel fatto per il quale la situazione socio – culturale e storica che stiamo attraversando non ha più la stessa configurazione educativa di solo qualche decennio fa, anche e soprattutto a causa della centralità di un sistema di comunicazione che vede nei mass media, nei multi media e negli ipermedia della cosiddetta “Galassia elettronica” la nuova dimensione totale del trasmettere- informare – comunicare in tempo reale.[6] Quello mass mediale è uno dei fattori della crisi educativa di un tempo, che per tanti versi è esso stesso tempo di crisi. Acone parla apertamente di crisi della cultura- civiltà occidentale e della connessa paideia che si riferisce ad un universo di valori il cui tramonto visibile ad occhio nudo produce “vuoto spirituale” e vuoto educativo. Invece molti vedono in ciò la struttra di base e la forma di impianto di una nuova civiltà illuministicamente sorretta e di una nuova paideia. Altri – tra cui Acone – vedono solo una sorta di disgiunzione tra progresso tecnico e regresso etico – educativo.In tale ultima frontiera vedono la crisi della paideia contemporanea.[7]Non è affatto un caso se il tentativo di disegnare una progettualità educativa planetaria incontra tuttora molti problemi, di cui quello di maggiore impatto è rappresentato dalla scissione tra educazione e istruzione. In essi si riproduce la scissione tra tecniche e valori; nella nostra epoca essa è divenuta una sorta di voragine. [8]Numerose sono le difficoltà che si affacciano immediatamente qualora si intenda trarre dall’esame della realtà contemporanea elementi significativi per la definizione del ruolo delle istituzioni educative e degli insegnanti che operano al loro interno. Tuttavia, uno sforzo in questa direzione si presenta oltremodo necessario, soprattutto in funzione di qualche chiarificazione rispetto al diffuso senso di disorientamento e incertezza presente fra educatori e insegnanti. Come scriveva qualche decennio fa J. Bruner , «per quanto riguarda la prassi educativa, noi viviamo in un’epoca sconvolgente. Ci sono gravi problemi e molteplici ne sono le cause, anche se la principale è rappresentata dal rapido mutare di una società di cui non sappiamo prevedere il futuro e per la quale ci riesce difficile preparare una generazione nuova».[9]Le nostre riflessioni mettono al centro la questione insegnante in termini di ruolo e funzioni da svolgere nella scuola contemporanea tenendo ben presente le ragioni che hanno portato ad esaminare la paideia del nostro tempo come paideia scissa.Una paidea ci vuole sempre (e, almeno nei suoi aspetti funzionali, c’è sempre).Quella che, oggi come oggi, non si riesce a rintracciare è una paideia-progetto, un’educazione intenzionale-riflessa con forti coefficienti di contestualizzazione di significato e di senso[10]. L’educazione subisce quindi tutta la drammaticità di un passaggio d’epoca in cui l’apparato tecnologico tende a sostituire ogni dimensione valoriale e di senso, a divenire una sorta di nuova ontologia senza metafisica, la cui potenza tende ad assorbire ogni indice di trascendenza di cui sempre l’educazione ha bisogno.[11]Educare oggi, entro ‘quadri storicisticamente improntati ad una accelerazione relativistica, soggettivistica, iperindividualista e narcisista-permissivista, specie in ordine all’orizzonte etico-morale, è non solo diverso qualitativamente anche dal recente passato, ma rappresenta un’impresa ai limiti delle possibilità umane. [12]Ogni educazione, sottolinea E. Agazzi, richiede necessariamente un'idea dell'uomo e dei suoi fini e, conseguentemente, di ciò chedeve apprendere per conoscere se stesso e per raggiungere i propri obiettivi. L'insieme di questi interrogativi è ciò che comunemente chiamiamo metafisica e costituisce il presupposto o, quantomeno, il riferimento di ogni paideia. Oggi non siamo in grado di produrre un'educazione efficace perché non abbiamo elaborato una paideia del nostro tempo.Senza educazione la paideia si ripiega su stessa e inaridisce perché non ha la possibilità di diventare significato e valore (in altre parole,cultura)condivisi da una comunità.La paideia della modernità ha avuto i suoi momenti forti dovuti, essenzialmente, all'ampliamento di ciò che si può conoscere, ma ha progressivamente perso di incisività perché non ha saputo elaborare a sufficienza la dimensione di una razionalità pratica e non ha saputo indicare in che cosa si può sperare[13].Come allora gli insegnanti percepiscono il loro lavoro in un simile contesto?Inoltre sulla scuola si concentrano le aspettative di un’intera società che quasi mai conosce e quindi riconosce, la complessità professionale dei docenti, anzi tende a denigrarli, considerandoli responsabili primari dell’abbassamento del livello culturale del paese e del ritardo rispetto alle trasformazioni storiche e sociali. Tutte le volte che succede un grave fatto di cronaca, tutte le volte che si verificano episodi di bullismo, i mezzi di informazione si interrogano sulle colpe della scuola.Gli insegnanti ogni volta si sentono sul banco degli imputati.[14]Numerose sono le difficoltà che si affacciano immediatamente qualora si intenda trarre dall’esame della realtà contemporanea elementi significativi per la definizione del ruolo delle istituzioni educative e degli insegnanti che vi operano.



2.3 Insegnare in una società globalizzata
Riallacciandoci alla questione prima trattata, non si può eludere una, seppur sintetica analisi sulla globalizzazione che ha tanto inciso sull’educazione e sulla scuola e si è riflessa sul ruolo dell’insegnante negli ultimi decenni del XX secolo ed ancora in questo breve scorcio del XXI secolo appena iniziato. Viviamo in un periodo storico complesso in cui il sapere si è frammentato e specializzato e la cultura professionale ha acquisito metodi e tecniche sempre più sofisticati ed elaborati. La scuola e l’istruzione hanno subito cambiamenti radicali che sono lo specchio della trasformazione dell’intera società. La globalizzazione, di cui sentiamo spesso parlare, spinge anche l’istruzione a confrontarsi con culture diverse per dare risposte a interrogativi e necessità comuni a tutti i popoli. Questo processo richiama il tratto fondamentale attraverso il quale si descrive lo scenario della società contemporanea: la dislocazione spazio-temporale legata all’intensa mobilizzazione e circolazione delle persone, delle merci, delle idee e delle informazioni. La globalizzazione viene quindi concepita «come un effetto della compressione del tempo e dello spazio che modifica alla radice le forme stesse della vita sociale»[15]. Si produce, in tal modo, la sensazione di vivere in un ‘villaggio globale’, in una dimensione mondiale, dove tutto è disponibile e conoscibile, dove si assiste ad una ricorsività e omogeneità delle situazioni di vita e di esperienza, dove «la rappresentazione di spazi chiusi diviene fittizia. Nessun paese, nessun gruppo si può isolare dall’altro».[16]La globalizzazione, anche se in modo diverso e con implicazioni dissimili, riguarda tanto la sfera economica quanto quella politica e culturale: per ciascuna di queste dimensioni si impongono analisi puntuali, proprio perché la globalizzazione dell’economia presenta caratteristiche anche molto diverse rispetto a quelle che si possono individuare per la sfera della politica o della cultura. In sostanza, il dibattito sulle diverse interpretazioni della globalizzazione è tuttora aperto, soprattutto perché la sua caratteristica principale è quella di essere multidimensionale e di contenere anche molti elementi contraddittori, come per esempio l’enfasi da un lato sulla omogeneizzazione e dall’altro sull’estrema visibilità delle differenze e dei particolarismi.Come sottolinea bene Zigmunt Bauman (1999),[17] occorre guardare dentro i processi di globalizzazione e alle loro ricadute. Si arriva allora a scoprire che «i processi di globalizzazione non presentano quella unicità di effetti generalmente attribuita loro. Gli usi del tempo e dello spazio sono non solo nettamente differenziati, ma inducono essi stessi differenze tra le persone. La globalizzazione divide tanto quanto unisce».Lo scenario della società globalizzata, invece di annullare le differenze, quindi le enfatizza e le rende oltremodo visibili e soprattutto ravvicinate e, pertanto, più facilmente in conflitto tra di loro. La società contemporanea si presenta al contempo sottoposta a spinte omogeneizzanti e universalistiche e a spinte contrarie, differenzianti, localistiche e particolaristiche. Risulta in tal modo difficile e anche fuorviante parlare di ‘società globale’ o di ‘sistema mondo’, proprio perché siamo anche in presenza di un ‘mondo in frammenti’[18]Giddens (1994),[19] come anche molti altri studiosi, fa anche riferimento alle innovazioni tecnologiche.Il riferimento è soprattutto alle tecnologie elettroniche che sono in grado di produrre e diffondere informazioni con una velocità elevata e un’estensione mondiale, contribuendo in tal modo aprodurre quella destrutturazione spaziale e temporale che, come abbiamo visto, è alla base dei processi di globalizzazione: il luogo (fisico e simbolico) quale fattore univoco e strutturante di produzione di significati, così come il tempo quale dimensione che scandisce e regola la vita quotidiana e collettiva non sono più vincolanti nella produzione di conoscenza, di cultura e di identità; piuttosto, le attività degli individui e dei gruppi sono in larga misura prodotte indipendentemente dalla loro collocazione e presenza in precisi contesti.Risulta immediatamente evidente come lo scenario della società contemporanea si presenti altamente problematico sotto il profilo della produzione di identità e di legami sociali stabili e duraturi nel tempo. Altrettanto evidenti appaiono le implicazioni per l’educazione e per la gestione della complessità di aspettative, saperi, valori. Soprattutto, possiamo individuare una crisi profonda nel modo di intendere, da un lato, il rapporto che intercorre tra una determinata società e i processi educativi al suo interno e, dall’altro, lo stesso modello di socializzazione, nei suoi scopi e nelle sue modalità di realizzazione [20]Per quanto riguarda il rapporto tra società e educazione, risulta impensabile ormai una concezione lineare, che stabilisce una stretta dipendenza e congruenza tra aspettative sociali e azione educativa, dove la scuola e gli insegnanti si ritrovano in posizione subordinata sia alle attese sociali sia alla domanda sociale di istruzione e educazione. Piuttosto, occorre sottolineare come il legame diretto scuola società sia sostituito, nella realtà contemporanea, da una discontinuità palese, che evidenzia la profonda crisi della concezione dell’educazione come ‘specchio’ della società: non solo si è infranta una sinergia, ma anche l’idea stessa che la scuola sia una semplice ‘cassa di risonanza’ e un luogo di riproduzione della cultura.In tale direzione è necessario riflettere sulle nuove sfide educative , soprattutto in funzione di qualche chiarificazione rispetto al diffuso senso di disorientamento e incertezza presente fra educatori e insegnanti.Esaminando dunque in questa sede la “crisi” percepita e vissuta dai docenti sembra opportuno richiamare brevemente,in un contesto più generale, il pensiero di due grandi studiosi contemporanei, Gardner e Morin, che hanno contribuito, seppur in maniera diversa, alla teorizzazione del pensiero delle scienze dell’educazione.Gardner è un autore che offre molti spunti di riflessione agli educatori e formatori, a nostro parere in linea con il filone dell’educazione globale, che si caratterizza per una particolare attenzione all’uomo in generale e secondo una visione del processo cognitivo unitario e partecipativo, che consideri l’interculturalità e la necessità di personalizzazione del percorso educativo/formativo, per la formazione del cittadino del mondo.Il pensiero di Morin rappresenta un pilastro dell’attivismo epistemologico dell’ultimo arco di tempo e prelude più che ad una riforma, ad una vera e propria “rifondazione” della scuola, che si apre ai plurimi orizzonti della “complessità” del suo mondo oltre che pedagogico, epistemologico ed antropologico.



2.4 Le sfide dell’educazione: Gardner e Morin
Howard Gardner, neuropsicologo statunitense ha acquisito celebrità nella comunità scientifica per la sua notissima teoria sulle “intelligenze multiple”. Egli dopo aver effettuato indagini e studi sull’intelligenza dei bambini giunse alla conclusione che l’intelligenza non può essere misurata nel complesso ( tramite gli strumenti psicometrici standard come il Q.I.) ma incanalata in diverse forme, le cui potenzialità sono tra loro indipendenti. In particolare Gardner riconosce una particolare valenza alle capacità artistiche e creative nella formazione della conoscenza. Per lo studioso, manca attualmente il dibattito su quali siano le finalità dell’istruzione sia per il presente che per il futuro.“Non credo che le discipline debbano essere amate per loro stesse, dovrebbero essere viste come il migliore strumento per dare risposte a quelle domande alle quali sono interessati gli uomini. Non possiamo continuare a dare risposte tradizionali”. Ora sappiamo moltissime cose sugli esseri umani che prima non conoscevamo, basti pensare a ciò che abbiamo appreso sulla mente e il cervello e sulla diversità delle culture”.[21] Gardner sostiene che il vero, il bello e il buono insegnato a scuola deve necessariamente avere implicazioni sociali affinché i giovani riescano a mettere a frutto le proprie conoscenze attivandosi per modificare al meglio le loro condizioni di vita. Nel libro “Sapere per comprendere” Gardner invita gli educatori a considerare l’educazione una promozione globale che deve considerare la molteplicità dell’intelligenza per coinvolgere ed interessare il maggior numero di studenti. Le “ intelligenze multiple”, identificate in sette tipologie (logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica o procedurale, interpersonale, intrapersonale ) ci mostrano come le tecniche corrispondenti ai vari settori di pensiero possono trovare spazio adeguato in una educazione personalizzata e individualizzata. Le nuove tecnologie, secondo Gardner, possono offrire un ventaglio di certificazioni che non sono più gli esiti dell’unica prova standard somministrata a tutti gli studenti; ognuno di loro potrà essere avvantaggiato in base alle proprie risorse e potenzialità. L’uso degli strumenti multimediali è e sarà in futuro un veicolo di informazioni sempre più immediato ed efficace attraverso il quale i ragazzi potranno confrontarsi ed utilizzare conoscenza, cultura e tradizioni del mondo intero.Le ricerche di Gardner offrono molti spunti di riflessione agli educatori e formatori, in linea con il filone dell’educazione globale, che si caratterizza per una particolare attenzione all’uomo in generale e secondo una visione del processo cognitivo unitario e partecipativo, che consideri l’interculturalità e la necessità di personalizzazione del percorso educativo/formativo, per la formazione del cittadino del mondo. Particolarmente, in questo contesto,appare utile soffermarsi sulle implicazioni che il riconoscimento delle intelligenze multiple porta nel contesto educativo. Le nuove tecnologie sono degli strumenti in perfetta sintonia con le intelligenze multiple; le ICT permettono infatti di impostare il programma didattico secondo diversi punti di vista, e quindi di personalizzare l’educazione. Le tecnologie si pongono nel processo di apprendimento/insegnamento come una sorta di scaffolding, vale a dire di sostegno alla didattica. Riprendendo il concetto di “zona di sviluppo prossimale” di Vygotskij, Calvani[22] sostiene che l’ambiente educativo può essere interpretato come una virtuale intersecazione di zone di sviluppo prossimali, in cui le tecnologie assistono, stimolano ed orientano il processo di apprendimento, lasciando tuttavia forte spazio alla responsabilizzazione autonoma del soggetto. L’apprendimento si caratterizza pertanto come un processo di partecipazione, costruzione e condivisione dei saperi. Il problema principale legato all’uso delle ICT nella didattica riguarda la preparazione degli insegnanti, spesso estranei alle nuove tecnologie. È necessario sensibilizzare gli insegnanti all’uso delle ICT e metterli di fronte ad esperienze reali e concrete di contributo qualitativo delle ICT alla didattica. Molti progetti realizzati in questi ultimi anni sono orientati proprio in tale direzione. La sfida della scuola del futuro risiede proprio nella sua capacità di rinnovarsi e di creare innovazione. Il ruolo degli insegnanti è destinato a cambiare; l’abbattimento delle frontiere spaziali e l’implementazione di ambienti virtuali di apprendimento costituiscono uno stimolo continuo per la ricerca della qualità. La visione strategica del life long learning deve estendersi dal settore della formazione continua a quello della scuola, che deve diventare il luogo di eccellenza per un approccio all’apprendimento costruttivo e permanente. Assunto di partenza deve essere che non esiste un modo univoco di insegnare ed apprendere, e che la personalizzazione dei processi educativi e formativi costituisce la linea guida strategica per superare visioni auto-referenziali e rispondere alle sfide della società della conoscenza.[23] Dalle riflessioni di Gardner si possono desumere concetti rilevanti riguardo ai sistemi scolastici e alla professione docente , egli scrive ne “Educare al comprendere “ <>[24]Ed ancora, nel seguente passo, lo studioso sembra rappresentare con precisione la condizione scolastica attuale <<>>[25] Lo studioso fa molta leva sul ruolo degli insegnanti anche quando affronta i cinque tipi di approccio per la stimolazione della comprensione individuale (approccio narrativo, approccio logico-quantitativo, approccio filosofico-concettuale, approccio estetico, approccio esperienziale). Un insegnante capace – egli asserisce- è una persona capace di aprire un gran numero di finestre diverso sullo stesso concetto […] egli attiverà in tempi diversi approcci diversi.[26]Un valido insegnante funziona come un “broker del curricolo scolastico dello studente”, sempre alla ricerca di quei sussidi – testi, film, software – che possono riuscire utili a presentare i contenuti in modo il più possibile interessante ed efficace, tenendo conto delle modalità di apprendimento tipiche degli studentiEdgar Morin, sociologo e filosofo francese è conosciuto per aver dedicato gran parte dei suoi studi alla riforma dell’insegnamento. Dopo "La testa ben fatta- Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero" Morin ha scritto"I sette saperi necessari all'educazione del futuro", un nuovo saggio su commissione dell'UNESCO, nell'ambito del "Programma internazionale dell'educazione" che costituisce un ulteriore prezioso contributo all'avvio di quella riforma culturale che, rivendicata dalla società della conoscenza, trova ancora nelle scuole, non solo italiane, molte difficoltà e resistenze.Non si tratta di impostare una riforma in cui tutto sia preventivamente definito e programmato, ma piuttosto di cominciare a individuare alcuni "accessi" attraverso i quali gli insegnanti siano incoraggiati a muoversi verso una nuova impostazione dei saperi. Morin ce ne indica sette . Ora sta a noi entrare e intraprendere il "viaggio". Un viaggio che non sarà né breve né facile, ma non è più tempo di indugi. Insieme dobbiamo avere il coraggio di rischiare, di non arroccarci nello statu quo, di muoverci lungo questo sentiero, che insieme possiamo scoprire e costruire, cammin facendo.Morin sostiene che la cultura attuale è frammentata e addirittura separata in due blocchi (cultura umanistica e scientifica) che hanno indebolito la funzione sociale della conoscenza perché ognuno tende a essere responsabile del proprio compito “specializzato” perdendo di vista l’aspetto globale che rappresenta la risorsa più preziosa per la società. Egli, infatti, scrive: <<>>[27]In queste condizioni, la mente formata dalle discipline,secondo lo studioso francese, perde la sua capacità naturale di contestualizzare i saperi, così come di integrarli nei loro insiemi naturali. La “ riforma del pensiero” di Morin si basa sui cardini dell’organizzazione della conoscenza. Egli cita, a tale proposito, una frase di Montaigne: “ E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena” intendendo che “ la testa ben fatta” va al di là del sapere parcellizzato e quindi al di là delle singole discipline che divide il sapere umanistico da quello scientifico. In questa prospettiva, quindi, secondo Morin, possiamo rispondere alle sfide poste dalla globalità e complessità della vita in cui l’individuo è inserito non solo nel proprio contesto quotidiano ma in una dimensione sociale, politica, nazionale e mondiale.Si tratta quindi di coltivare quelli che lui chiama “ i sette saperi” pragmatici che devono diventare pilastri fondamentali della conoscenza. “ Questi temi permetteranno di integrare le discipline esistenti e di stimolare gli sviluppi di una conoscenza atta a raccogliere le sfide della nostra vita individuale, culturale e sociale”. L’apertura ad una nuova conoscenza di tipo globale potrebbe consentire in futuro di superare la frammentazione dei saperi per privilegiare la loro interconnessione. Le nuove scienze come l’ecologia, la scienza della terra e la cosmologia che hanno come scopo lo studio dell’intero sistema, sono trans-disciplinari e collocano l’uomo in un contesto più ampio : “ L’essere umano è nel contempo fisico, biologico, psichico, culturale, sociale e storico, ognuno dovrebbe prendere conoscenza e coscienza sia del carattere complesso della propria identità che ha in comune con tutti gli esseri umani”. In una intervista al quotidiano “ Repubblica” Morin risponde alle domande provocatorie sulla crisi dell’istruzione sottolineando che “ la scuola offre solo una frammentazione del sapere e uccide la curiosità… ”Difatti segnala testualmente:<>[28]Egli cita Platone per ricordare come l’amore e la passione siano gli strumenti necessari per gli insegnanti perché questa professione, come il medico o l’avvocato, rappresenta una missione laica. La scuola, secondo Morin non insegna ad affrontare l’incertezza del presente e gli adolescenti rappresentano l’anello debole di una società che si sta disintegrando. Analizzando i vari cambiamenti storici che hanno trasformato la società Morin ricorda che i giovani sono uguali in tutto il mondo e che sono fatti di psicologia, biologia e curiosità intellettuale; essi hanno bisogno di conoscere e riconoscere il mistero della vita, l’intimità psicologica che può dar loro la poesia, la letteratura, la filosofia.Con la metafora della farfalla che prima di diventare tale era un verme, Morin ci indica la strada per il cambiamento che è anche trasformazione dolorosa e traumatica. Nella prospettiva dello sviluppo di una nuova coscienza globale il percorso di crescita personale e sociale potrà dare inizio a un rinnovamento culturale che porterà l’uomo a confrontarsi e a interagire con le problematiche della società moderna superando i confini dell’individualismo crescente.A partire da queste considerazioni si possono abbozzare le due grandi finalità etico-politiche del nuovo millennio: stabilire un controllo reciproco tra la società e gli individui attraverso la democrazia, concepire l'umanità come una comunità planetaria. L'insegnamento deve contribuire, non solo alla presa di coscienza della nostra Terra-Patria, ma anche permettere che questa coscienza si traduca nella volontà di realizzare la cittadinanza terrestre.Le proposte di Morin sono molteplici, espresse sempre con lucidità e poesia. Ad esempio: quale viatico per imparare a vivere nell’incertezza?1.Praticare un pensiero che si sforzi di contestualizzare e globalizzare le informazioni e le conoscenze.2.Utilizzare non il programma e la programmazione ma la strategia. La programmazione determina infatti a priori una sequenza di azioni in vista di un obiettivo mentre la strategia prefigura scenari di azione e ne sceglie uno, in funzione di ciò che essa conosce di un ambiente incerto.3.La scommessa: la strategia porta con sé la consapevolezza dell’incertezza che dovrà affrontare e comporta perciò una scommessa. Essa deve essere pienamente cosciente della scommessa, in modo da non cadere in una falsa certezza.Si tratta dunque di coltivare il pensiero che connette e interconnette secondo sette principi:1. Il principio sistemico (il tutto è più della somma delle parti)2. Il principio ologrammatico (sembra un paradosso, le organizzazioni complesse evidenziano anche che il tutto è iscritto nella parte)3. Il principio della retroazione (feedback) che rompe lo logica della causalità lineare4. Il principio dell’anello ricorsivo (gli uomini producono la società mediante le loro interazioni, ma la società in quanto globalità emergente produce l’umanità di questi individui portando loro il linguaggio e la cultura)5. Il principio dell’autonomia/dipendenza (gli umani sviluppano la propria autonomia dipendendo dalla cultura)6. Il principio dialogico (che unisce i principi che a prima vista paiono elidersi a vicenda: vita/morte; ordine/disordine...)7. Il principio della reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza.Secondo Morin[29] la riforma del pensiero è anche riforma "etica": del resto il pensiero che connette, proprio perché connette, è anche un pensiero ed una azione solidale: "Un modo di pensare capace di interconnettere e di solidarizzare delle conoscenze separate è capace di prolungarsi in una etica di interconnessione e di solidarietà fra umani".Quale insegnante è prefigurato da questo mutamento di paradigma?Morin ne traccia un preciso identikit.I tratti essenziali dell’insegnante sono[30] :1. Fornire una cultura che permetta di distinguere, contestualizzare, globalizzare, affrontare i problemi multidimensionali, globali e fondamentali;2. Preparare le menti a rispondere alle sfide che la crescente complessità dei problemi pone alla conoscenza umana;3. Preparare le menti ad affrontare l’incertezza favorendo l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore4. Educare alla comprensione umana fra vicini e lontani5. Insegnare l’affiliazione (a partire dal proprio villaggio sino al villaggio globale)6. Insegnare la cittadinanza terrestre come comunità di destino dove tutti gli umani sono posti a confronto con gli stessi problemi vitali e mortaliSono questi i punti necessari per uscire dal pensiero chiuso e parcellizzato, ripiegato su se stesso, sul proprio sempre più minuscolo pezzetto di puzzle.E qui sta anche il ruolo chiave della riforma del pensiero e dell’insegnamento: si tratta di una necessità democratica. Formare cittadini capaci di affrontare i problemi del loro tempo; frenare il deperimento democratico che è suscitato in tutti i campi delle politica dell’espansione dell’autorità degli esperti, degli specialisti di tutti i tipi che limita progressivamente la competenza dei cittadini.“Voglio apprendere a vivere”: questa frase rimarca l’importanza vitale della formazione sia da un punto di vista di umanità che di cittadinanza perché per risolvere i problemi fondamentali dell’uomo è necessaria un’alleanza educativa tra cultura umanistica e cultura scientifica. Una mancanza di congiunzione tra le due infatti non può servire ad una adeguata maturazione morale e spirituale.Ma ci sono delle difficoltà in questo percorso, che sono date in primo luogo dalla iper specializzazione che impedisce il necessario “dialogo” tra i saperi. Dove andremo senza unità di saperi? In una stella possiamo analizzare le particelle, possiamo conoscere delle cose estremamente interessanti sul suo essere fisico ma, senza la soggettività umana che si esprime nella letteratura e nell’arte, rimarrebbe sterile. È necessario umanizzare i saperi per limitare la dispersione della conoscenza: questo è un problema da affrontare già nei primi anni di scuola e deve proseguire lungo tutto il percorso degli studi.Una conoscenza priva di contestualizzazione è una conoscenza povera. Come fare a riunire i saperi delle varie discipline? Serve un pensiero complesso che permetta di unire ciò che è separato.Oggi serve un nuovo umanesimo. Nuovo perché il primo umanesimo fu virtuale, non c’erano problemi che riguardavano tutta l’umanità, mentre oggi nel mondo globalizzato i problemi del fanatismo razziale e religioso e quello dell’inquinamento della biosfera accomunano tutta l’umanità: un umanesimo concreto.L’ecologia oggi è conoscenza perché unisce le scienze alla civiltà umana, ridà unità alla natura prima studiata solamente nei suoi innumerevoli aspetti fisici e biologici. Come apprendere a vivere? La conoscenza non si ha con la frammentazione ma con l’unione. È necessaria una riforma della conoscenza del pensiero, un nuovo umanesimo globale che sappia affrontare i temi della persona e del pianeta. I giovani oggi si sentono persi, non trovano le ragioni dell’essere. Durante la seconda guerra mondiale i ragazzi dovevano resistere al nazismo, divennero partigiani, contribuirono a liberare le loro vite e le loro nazioni. E oggi? Oggi i giovani sono chiamati ad affrontare un compito ancora più ampio: la salvezza del genere umano. Hanno una missione grande davanti a loro e dobbiamo educarli ad apprendere e a maturare una conoscenza adeguata ad assolvere a questo compito fondamentale a cui sono chiamati.[31]Un pensiero attualissimo, come attualissime ed urgenti sono le sfide cui siamo chiamati a far fronte.

2.5 Formazione e comunicazione nel tempo dellacomplessità[32]
La complessità, la rapida transizione, la molteplicità dell’ essere, la differenza caratterizzano la nuova civiltà in cui tutti gli uomini riconoscono l’ altro come un valore da rispettare. Sia pur tra tante contraddizioni, l’ istanza democratica vigente riconosce a tutti, indipendentemente dalla propria particolarità, i diritti individuali e collettivi fondamentali.Un efficace valore educativo, all’ interno di una comunità sociale, consiste nel percepire i valori sui quali potersi appoggiare, in una società in cui il soggetto, trovatosi di fronte ad una generale crisi delle certezze, non ha valori precisi a cui potersi ancorare e si fa responsabile della proprie scelte, nel continuo rapportarsi con la realtà sociale.In una collettività dove i processi comunicativi rappresentano una inesauribile fonte di energia e soprattutto dove non si può prescindere dal processo formativo, la socializzazione è garantita e l’ individuo può emanciparsi, crescere e realizzarsi in un sistema democratico. Tale sistema dovrebbe indicare il vivere insieme agli altri, il comunicare, il riconoscersi e il rispettarsi come cittadini del mondo.In questa prospettiva di comunicazione intersoggettiva, Habermas e Apel, in virtù del comune progetto di una morale fondata sul dialogo e sulla comunicazione, prevedono il superamento di un’idea di soggetto inteso come coscienza autosufficiente al fine di approdare ad un paradigma dialogico in cui la coscienza si costituisce all’interno della comunità linguistica, divenendo coscienza pubblica.Partendo dai presupposti di una situazione discorsiva ideale, il risultato converge in un modello di società democratica, costituito da uomini eguali e liberi, che discutono di questioni di ordine collettivo.Si tratta, dunque, di una realizzazione resa possibile dall’ agire comunicativo, finalizzato all’ intesa e alla comprensione tra soggetti autentici, capaci di azione e linguaggio.Sfondo dell’ agire comunicativo è il “mondo vitale” da cui non si può prescindere visto che esso rappresenta il luogo in cui gli interlocutori si incontrano per esternare il consenso o il dissenso nei confronti del mondo stesso e in cui si articolano razionalità specifiche che Habermas definisce “sistemi ”, quali il sistema politico o economico, e che possono entrare in conflitto con la razionalità comunicativa, tentando di sottomettere il “mondo vitale”.La società, al contrario, è un’insieme dialogico, dove ogni individualità è legittimata dall’ intesa con il prossimo avente uguali diritti. È il dialogo la norma assoluta per il mondo vitale.La comunicazione, al pari della formazione, implica una condivisione di orizzonti di senso attraverso l’ intersoggettività. Non si tratta di ridurre la differenze, quanto di produrre apertura al molteplice e consentire il superamento di condizioni di illibertà.La formazione e la comunicazione sono luoghi privilegiati di costruzione e realizzazione dell’ individuo.Formazione e comunicazione devono misurarsi con fenomeni complessi e modalità di rappresentazione sociale, di soggetti e gruppi umani.Fin dai tempi antichi, si è posta l’ attenzione tanto sull’ importanza della funzione educativa, quanto su quella del linguaggio e dei segni. La realtà si presentava come un insieme di segni da decifrare ed interpretare. Socrate mostrava come, attraverso il dialogo con cui l’ uomo affronta questioni relative all’ umanità, si realizzino gli ideali di giustizia e solidarietà.La convergenza tra educazione e linguaggio è evidente all’ interno dell’ umanesimo cristiano, in cui all’ acquisizione della lingua è legata la possibilità, per il vero cristiano, di affrontare il viaggio verso la verità.In seguito, la conoscenza sarà considerata come il risultato di una serie di processi, a favore di un saper “vivo”.Compiendo un balzo temporale, autori come Marcuse e Althusser, percorrendo la lettura marxiana dell’ ideologia come “falsa coscienza” che oscura la realtà e dandone una rappresentazione illusoria, sveleranno la duplicità del processo formativo inteso sia come strumento ideologico che come fonte di rivalsa. All’ ideologia Althusser affida un compito conformativo in una società in cui l’ uomo è soggetto alle regole del sistema e non ammette deviazione e irregolarità.Già Marx aveva riconosciuto nell’ educazione la possibilità di emancipazione dell’ uomo, ma al tempo stesso aveva smascherato la formazione che, se non è vera formazione, può anche sopire le coscienze.Con il pensiero di Marcuse l’attenzione si sposta sulle società tecnologicamente avanzate, caratterizzate da un sistema totalitario e da un forte condizionamento sociale dei media sull’ uomo. Un riscatto dalla massificazione delle coscienze può avvenire solo ad opera di coloro i quali non si lasciano omologare, ma restano fuori dai luoghi di riproduzione sociale. Tanto più si è diversi, tanto più si è autonomi.<<>>[33]Conseguentemente la formazione, nel nostro tempo, tende a misurarsi con il mutamento culturale generato dalla nascita di una comunicazione multimediale e dal proliferare delle innovazioni informatiche e tecnologiche che hanno causato una nuova configurazione delle categorie spazio- temporali. L’ uomo si muove in un cyberspazio, in un tempo “piegato” alle esigenze tecnologiche, come in un immobile presente, o meglio, in un qui ed ora.Il computer è certamente uno degli aspetti dominanti dell’attuale civiltà della tecnica.Le neo-tecnologie comunicazionali e le tecnologie di sintesi sono, forse, la nuova casa dell’essere e, forse, da esse soltanto può scaturire quella diversa e nuovamente epocale forma di <<>> che abbiamo chiamato il sublime tecnologico.[34] Il computer seduce perché offre la possibilità di un controllo assoluto, ma può intrappolare l’individuo in una sorte di allucinazione in cui il controllo è realizzatoall’interno di un universo solo privato, autistico. Il linguaggio con cui gli adolescenti si riferiscono a se stessi è quello computazionale[…] esso è già patrimonio della psicologia implicita delle nuove generazioni.[…] Il computer è diventato un objectto-think-with, un oggetto con cui pensare.[35] Con l’avvento dunque dell’informatica sono cambiate le competenze e le abilità di base richieste dalla società e si è modificato anche il campo delle tecnologie dell’istruzione […] La scuola non può non tenere conto dei cambiamenti . Certamente il ruolo dell’insegnante e della scuola non può essere, come qualcuno ha ipotizzato pessimisticamente, annullato dalle nuove macchine per insegnare. Il discente non può fare a meno di una guida umana nel suo processo di apprendimento. Ma egli vuole pure che questo processo non sia poi tanto dissimile nelle modalità da quello di cui egli si serve a livello extrascolastico[…] L’insegnamento, pur avendo come fine precipuo la formazione e maturazione della personalità dell’alunno, deve essere al passo con i tempi, altrimenti si corre il rischio di essere anacronistici e tediosi.[36] Oggi dunque come mai la mediazione dell’insegnante all’interno delle istituzioni educative riveste un ruolo fondamentale.Nonostante, infatti, le forma della conoscenza e della comunicazione abbiano oggi visto alterate le categorie spazio-temporali e abbiano dilatato la realtà verso la nuova esperienza della virtualità, il senso delle motivazioni del comunicare non è mutato e rimane legato a forme quali il dialogo con cui l’ individuo ha, da sempre, costruito il suo rapporto con gli altri.Il discorso comunicativo rimanda alla riflessione sul concetto di comunità, non solo per la comune radice etimologica, ma anche perché oggi emerge uno stile comunitario fondato su una condivisione di sentimenti.Il fine ultimo della comunicazione è fare comunità, ovvero unire, mettere insieme ed essere consapevoli di condividere alcune norme sociali.È necessario insistere, non su un’idea di socializzazione intesa come adattamento al gruppo in modo passivo e inautentico, ma sulla socialità come espressione di una dimensione personale che postula un atteggiamento proteso verso la realizzazione di valori comuni.La collaborazione reciproca, la comunanza di idee e finalità sono forma che realizzano una vita sociale consapevole.L’ emergere di nuove forme di socializzazione e comunicazione apre la strada ad una serie di questioni tra cui quella relativa alle comunità virtuali, definite da Levy come “piccole arche” in continuo divenire, che potrebbero salvare l’ uomo dal mare di informazioni e in cui includere solo gli aspetti più importanti della nostra esistenza quali le istituzioni, gli affetti e il gruppo.Ma possiamo considerarle delle vere e proprie comunità?Appartenere ad una comunità virtuale riflette non solo la necessità di scambiare informazioni, ma soprattutto il bisogno di socializzazione e condivisione di prospettive comuni e rappresenta per l’ uomo ciò che, prima di Internet, era solo potenziale in quanto gli consentiva di entrare in contatto con gruppi o soggetti distanti fisicamente.La particolarità delle comunità virtuali, non radicate in un territorio preciso, risiede nell’ apertura verso un sapere universale. Usando, infatti, in modo appropriato le nuove tecnologie comunicative, si può favorire lo scambio di saperi e produrre nuova conoscenza.Tra il desiderio di radicamento e quello di erranza, la comunità si pone come luogo di mediazione. A questo punto allora si pone un’altra sfida per chi ha il complesso compito di formare le nuove generazioni.Nell’ ambito della nostra società, definita da Lyotard “post- moderna” e da Luhmann “società complessa”,[37] quali strategie si possono praticare affinché i soggetti facciano propri i contenuti di un insegnamento o di un metodo che vengono loro proposti con l’intenzione di incidere positivamente sulla loro qualità della vita?Come sostiene W.Brezinka, il problema consiste nella necessità di puntare alla creazione di un soggetto istruito “in modo equilibrato”.In un mondo che si trasforma così velocemente e con un orizzonte così vasto, tanto che McLuhan, sottolineando il ruolo unificante delle comunicazioni, ha parlato di “villaggio globale”, se è vero che l’attenzione viene continuamente stimolata, è altrettanto importante non lasciarsi andare alla corrente delle informazioni che si ricevono, ma essere capace di stabilire un sano equilibrio delle forze e dei contenuti psichici.In questo quadro di riferimento, nel quale il sapere si articola e si complica richiedendo una continua e faticosa ricostruzione, occorre raccogliere la sfida del cambiamento e affrontare con tenacia la molteplicità dei problemi.Per poter agire in tal senso è necessario modificare il modo di pensare, di sentire, di conoscere. Bisogna razionalizzare nuove forme di comunicazione e interazione con l’ ambiente circostante per decodificare, capire e controllare il mutamento in corso ed evitare il pericolo del disorientamento, che può essere determinato proprio da un eccesso di informazioni e di compiti di apprendimento per gli adolescenti e di metodi di insegnamento per i docenti.Nasce, così, l’ esigenza indispensabile di un’ educazione all’altezza dei tempi, cioè una paideia che giustifichi i diversi processi di apprendimento/insegnamento, di un processo educativo inteso come formazione nell’ uomo di una capacità di scelta possibile ed auspicabile, che non si ascriva ad una dimensione puramente “didatticistica”, ma sia portatore di modelli possibili (in quanto scientifici) e auspicabili (in quanto etici). Quando si parla di modelli ci si riferisce alla riflessione pedagogica che ha come tema centrale la formazione umana. Essa rappresenta un processo diacronico e sincronico complesso, perché <>.[38] La problematicità della formazione è legata all’impegno che la stessa richiede per intervenire in vista di uno scopo non a breve termine e che dipende da una molteplicità di fattori di natura biologica, storica, sociale, valoriale. La formazione è costruzione dell’umanamente possibile. L’individuo si trova di fronte alla possibilità della sua stessa realizzazione e, attraverso la formazione, la vita di ciascuno tende ad umanizzarsi, nel rispetto delle peculiarità individuali. Ovvero diventa persona e valore in sé. Il soggetto potrebbe ricercare un sano equilibrio tra il vivere in un qui ed ora fuggevole e futile, proprio della società post- moderna, e la possibilità di realizzare un’ esperienza formativa che abbia come fine la piena e concreta realizzazione del sé.Si tratta di un progetto formativo che vede nel soggetto una singolarità che vive e si muove in un universo sociale in cui l’ aspetto teleologico è rivolto all’ emancipazione e alla libertà.Il tempo della “complessità”, del “pluralismo”, dell’ “intersoggetività”, riflettendo un universo molteplice, offre all’ umanità svariate risposte a secondo dei contesti di riferimento e come tale non può indicare un’ unica via da seguire.La società odierna trova terreno fertile di sviluppo nell’ evoluzione dei media i quali hanno rivoluzionato i rapporti interpersonali. Muovendosi in un terreno così caratterizzato, la formazione e la comunicazione non appaiono come due ambiti di riflessioni distinti, in quanto il proliferare dei media e le trasformazioni dei processi formativi risentono di una reciproca influenza.In una società multimediale, difatti, vengono a riproporsi termini dialettici di trasparenza e opacità, che ripropongono i termini più classici di vero e falso.La società della comunicazione anziché tendere verso l’ autotrasparenza, ha proceduto verso quella che si può chiamare fabulazione del mondo.<>[39]


2.6 Professione insegnante: una nuova realtà?
La riflessione sulle caratteristiche della professione insegnante è assai complessa perché diverse sono le interpretazioni correnti circa la natura del ruolo insegnante. Soprattutto alla luce delle sfide educative e formative cui , oggi si è chiamati a rispondere o almeno a provarci. Secondo uno studio pubblicato dall’OCSE nel 1991, è possibile distinguere l’insegnamento sulla base della seguente tipologia:a) un lavoro, dove al singolo docente non è lasciato altro compito che eseguire un programma predisposto da altri;b) un mestiere, nel quale l’insegnante deve mettere in atto una serie di tecniche e metodologie;c) una professione, ove il docente deve decidere quando e come applicare le tecniche e le metodologie apprese;d) un’arte, che lascia grande spazio all’intuizione e all’invenzione del singolo insegnante nell’applicare le metodologie che possiede.Nella ricerca degli elementi comuni che nei diversi paesi emergono a livello descrittivo, si evidenzia comunque un nuovo concetto di «professionalità aperta», tramite il quale si tende a sottolineare l’esigenza di come l’insegnante contemporaneo debba da un lato rendersi disponibile ai nuovi contesti sociali – vale a dire all’elaborazione di nuove metodologie pedagogico-didattiche, alla collaborazione con i propri colleghi, alle relazioni con le collettività locali e con i genitori degli allievi e alla gestione amministrativa della scuola – e dall’altro siaanche considerato e rispettato quale professionista, dotato di diritti,responsabilità e doveri ben definiti.Volendo collocare la riflessione su un piano più generale, si può considerare come tali richieste nei confronti dei docenti siano perlopiù il riflesso delle diverse mansioni attribuite alla scuola: dalla socializzazione, all’istruzione intesa come acquisizione delle conoscenze necessarie per costruire una concezione realista e razionale del mondo, e infine all’educazione che permetta lo sviluppo delle potenzialità di ogni alunno. Il raccordo tra questi tre obiettivi è tutt’altro che evidente: un’analisi accurata del funzionamento delle scuole dimostra che ognuna di queste funzioni è difficilmente compatibile con le altre due, poiché la priorità data a una funzione va sempre a scapito delle altre due…Autori quali P. Romei e L. Ribolzi[40] hanno sottolineato come esista una «doppia anima» della scuola, attraversata da due dimensioni che si influenzano a vicenda: la dimensione istituzionale, essenzialmente regolativa ed esecutiva, e la dimensione comunitaria, in cui si realizzano i processi d’interazione che costruiscono – e ricostruiscono di continuo – le modalità del processo di insegnamento-apprendimento. In questo ambito, risulta estremamente importante il tema della socializzazione professionale degli insegnanti e l’analisi delle strategie d’adattamento che gli insegnanti devono mettere in atto per entrare a far parte della cultura della scuola; in particolare, gli insegnanti non possono essere considerati semplicemente un elemento passivo all’interno dei dispositivi organizzativi che strutturano la scuola, bensì dei soggetti attivi, che prendono iniziative e sviluppano progetti sulla base di una gestione efficace dei loro rapporti con l’istituzione e con gli allievi. Le trasformazioni che hanno modificato il ruolo dell’insegnante toccano essenzialmente due aspetti: le competenze professionali (il sapere e il sapere insegnare) e gli aspetti relazionali, e quindi la gestione del proprio ruolo nei confronti delle diverse aspettative che gli sono rivolte.Per quanto riguarda le conoscenze sembra emergere soprattutto l’accumularsi di nuove conoscenze e il moltiplicarsi di saperi specialistici all’interno di un sapere generale, ma nel contempo anche la stessa messa in discussione delle certezze scientifiche: tutto ciò indica la difficoltà a conseguire un sapere stabile e consolidato una volta per tutte.Sul versante delle capacità relazionali, viene posta sempre più in evidenza la necessità di conoscenze psicologiche sull’allievo e sui processi d’apprendimento come pure del possesso di una competenza comunicativa allargata, definibile come competenza sociale, proprio per i necessari legami e collegamenti che stabilisce con la realtà sociale, con gli altri agenti di socializzazione dentro e fuori dall’istituzione scolastica.Proprio per sottolineare la difficoltà nel far fronte a tutto ciò, Perrenoud ha scelto, per un suo libro sulla professione insegnante, il seguente titolo: «Enseigner: agir dans l’urgence, décider dans l’incertitude. Savoirs et compétences dans un métier complexe» un titolo che riassume questa complessità in modo significativo e sottolinea come l’insieme di tutte queste esigenze possa rivelarsi una fonte di stress.Al proposito, diversi studi si sono occupati di un tipo particolare di reazione a dei fattori di stress, emotivi e interpersonali che si incontrano in ambito professionale, una sindrome detta burnout e definita da Maslach, Pines e Jackson secondo tre criteri: grande fatica emotiva (elemento di stress), depersonalizzazione (elemento di valutazione degli altri) e diminuzione del rendimento (elemento di auto-valutazione). Secondo la Maslach, l’individuo predisposto in qualche modo al burnout è quello incapace di controllare il limite di coinvolgimento nel rapporto professione ed è proprio tale difficoltà di controllare emozioni come la rabbia e la frustrazione che lo porteranno ad instaurare con il cliente un rapporto depersonalizzato a causa della proiezione sull’altro dei propri sentimenti negativi. Secondo l’autrice, dunque <> non è un problema dell’individuo in sé, ma del contesto sociale nel quale egli opera.[41] Diverse figure professionali e tra di esse anche quella degli insegnanti sembrano essere colpite da questo fenomeno.Questo è particolarmente vero in questo momento. L’incertezza rispetto alle prospettive della riforma (quali le finalità, le linee guida, il mandato della scuola); l’irregolarità e la scompostezza, che dura da anni, del processo riformatore (tre leggi di riforma del sistema scolastico nel giro di pochi anni, ma di segno completamente opposto e ,ad oggi,ancora non ben definite); le spinte contraddittorie dell’amministrazione (circolari sulla sperimentazione che si susseguono, smentendosi a vicenda); le peggiorate condizioni di lavoro (classi sempre più affollate, ore di lezione aumentate, taglio di risorse); le crescenti difficoltà di rapporto con gli studenti, sommati ai colpi che gli insegnanti hanno ricevuto in questi anni (la perdita del potere di acquisto e lo scadimento del valore sociale del loro ruolo), stanno polarizzando scontento e malessere sul modo di vivere e di fare scuola. Tanto più che di insegnanti si parla poco, e quando se ne parla non mancano ironia, sottovalutazione, pressappochismo.E’ ormai un fatto accreditato che il docente deve essere dotato di autorevolezza, che deve far uso di metodi attivi che non indulgono né al lassismo, né all’autoritarismo, ma trovano la loro attuazione nella giusta coniugazione delle due istanze.Nella società complessa in cui viviamo, società che chiede all’individuo non solo grandi doti di adattabilità ma soprattutto capacità creative per poter continuamente dare un volto al proprio lavoro e in genere alla propria esistenza, il compito dell’insegnante è quello di educare gli studenti alla creatività,al senso dell’avventura umana, all’ottimismo.[42] Questo presuppone il senso dell’apertura verso l’altro, cioè la capacità di saper ascoltare e soprattutto di saper promuovere l’educazione al dialogo che predispone all’incontro,favorisce la riflessione,aiuta ad organizzare e selezionarle informazioni, a strutturare i tempi di concettualizzazione e memorizzazione, ma soprattutto sostiene il controllo delle emozioni e dei sentimenti.E’ importante allora che l’insegnante possegga non solo competenze disciplinari, ma anche pedagogiche, metodologiche e psicologiche .[43]La nuova realtà dei docenti è quindi anche una sfida con e per il mutamento della nostra società. Il rinnovamento del sistema scolastico è principalmente legato ai docenti che devono diventare protagonisti ed animatori del cambiamento trasformando le scuole in laboratori di ricerca e sperimentazione di innovazioni didattiche.A proposito della massiccia introduzione delle nuove tecnologie nelle scuole e dell’impiego didattico della rete appare interessante la riflessione di Umberto Eco pubblicata di recente su un settimanale:“… uno studente, per provocare un professore, gli avrebbe chiesto: ‘Scusi, ma, nell’epoca di Internet, Lei che cosa ci sta a fare?’. Lo studente diceva soltanto una mezza verità, … perché anzitutto l’insegnante oltre che informare deve formare.Quello che fa di una classe una buona classe non è che vi si apprendano date e dati ma che si stabilisca un dialogo continuo, un confronto di opinioni, una discussione su quanto si apprende a scuola e quanto avviene di fuori…Lo studente trascurava un punto importante: che Internet gli dice ‘quasi tutto’, salvo come cercare, filtrare, selezionare, accettare o rifiutare quelle informazioni. A immagazzinare nuove informazioni, purché si abbia buona memoria, sono capaci tutti, ma decidere quali vadano ricordate e quale no è arte sottile: questo fa la differenza tra chi ha fatto un corso di studi regolare (anche male) e un autodidatta (anche se geniale)…Il senso [del rapporto sistematico tra le conoscenze acquisite] può darlo solo la scuola, e se non sa farlo dovrà attrezzarsi per farlo. Altrimenti le tre I di Internet, Inglese e Impresa rimarranno soltanto la prima parte di un raglio d’asino che non sale al cielo”[44]Oggi, il ruolo è cambiato,e l’insegnante nella scuola del terzo millennio saprà farsi carico dei problemi educativi che le competono e che le sono stati delegati dalle altre agenzie educative soltanto se sarà in grado di:- interagire positivamente con gli allievi, con le loro famiglie e con il composito contesto sociale in cui opera, diventando un significativo punto di riferimento culturale per tutta la popolazione del territorio;- coinvolgere un numero crescente di “attori” stimolandoli alla partecipazione responsabile ed alla cittadinanza democratica, promuovendone la piena realizzazione in sintonia con le loro potenzialità ed accompagnandoli nel delicato processo di crescita, di sviluppo della personalità e di maturazione critica e sociale;- adottare le metodologie e le tecniche didattiche più idonee per favorire l’apprendimento anche da parte degli alunni più problematici, insofferenti della lezione frontale perché incapaci di mantenere desta l’attenzione, per tempi prolungati, a fronte di una comunicazione prevalentemente verbale;- sostituire al clima noioso e/o competitivo un clima sereno e collaborativo;- garantire l’uguaglianza delle opportunità[45], per consentire a tutti la possibilità di esprimersi, con i linguaggi più appropriati alle singole realtà individuali, e di trovare risposta alle proprie esigenze personali.Siamo tutti di fronte a una sfida. Nessuno ha ricette preconfezionate. E’ però utile confrontarsi sulle esperienze in corso, se non altro per rendersi conto di non essere soli nello sforzo di individuare strategie efficaci, possibilmente trasferibili.E’ in questa prospettiva che oggi gli insegnanti devono e vogliono muoversi, pur nella consapevolezza che l’insegnamento resta una professione assai complessa.Insegnare in divenire ossia riqualificare il valore futuro dell’agire educativo, come sostiene Donald Schön nel saggio “Per una nuova epistemologia della pratica professionale”.A questo punto della nostra riflessione appare opportuno fare un’analisi circa i cambiamenti in atto nelle scuole di ogni ordine e grado e che, a livello normativo, vanno sotto la denominazione di “riforme” che investono l’intero sistema scolastico e riflettono i mutamenti che avvengono nella società ed in modo particolare manifestano il divenire degli insegnanti, il loro modo di porsi nei confronti del cambiamento, la trasfigurazione o la staticità del “fare scuola”.
Bibliografia
[1] Cavalli A. (a cura di) Gli insegnanti nella scuola che cambia.Seconda indagine IARD sulle condizioni di vita e di lavoro nella scuola italiana, Bologna, Il Mulino, 2000.[2] G.Acone, Una mappa dei problemi e delle questioni della pedagogia contemporanea in Aspetti e problemi della pedagogia contemporanea (a cura di Giuseppe Acone),Edizioni Seam 2000[3] Ivi, p. 26[4] Ivi, p.27[5] Ivi , p.28[6] Ivi, p.31[7] Ivi, p.32[8] Ivi, p.34[9] J. Bruner, La mente a più dimensioni, Laterza, Bari, 1988.p.149[10] G.Acone. La paideia introvabile, Ed.La Scuola Brescia 2004 p. 7[11] Ivi, p 27[12] G.Acone. La paideia introvabile. Op. cit.[13] AA.VV. Il bene cultura. Il male scuola, a cura di L. LEPRI , Roma, Armando, 1999[14] http://www.comunicascuola.it%20essere/insegnanti[15] V. Cesareo, La società della globalizzazione. Regole sociali e soggettività. Una introduzione al tema, in «Studi di sociologia», XXXV (1997) p. 253[16] U. BECK, Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, Roma, 1999 p.23[17] Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Bari, 1999.p. 4[18] Geertz 1999 C. Geertz, Mondo globale, mondo locale, Il Mulino, Bologna, 1999.[19] A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Il Mulino, Bologna, 1994.[20] E. Besozzi , Elementi di sociologia dell’educazione, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993.[21] H.Gardner, Sapere per comprendere. Discipline di studio e discipline della mente,Feltrinelli, Milano 1999[22] A. Calvani, Elementi di didattica, Carrocci Editore, Roma 2000 pp. 80-81[23] H. Gardner, Frames of mind. The theory of multiple intelligences, 1983; tr. It. Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli Editore, Milano 1995 ; tr. di Libero Sosio, p.457)[24] H. Gardner, Educare al comprendere, Universale economica Feltrinelli editore, Milano 2001 p.150[25] Ivi, p 150 - 151[26] Ivi, p. 257[27] E. Morin, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Raffaello Cortina editore 2001 pp.40-41[28] Ivi, p. 39[29] Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Cortina Editore, 2000 p.101[30] Ivi, p. 106[31]Edgar Morin, presentazione del documento “Cultura scuola persona. Verso le indicazioni nazionali per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo di istruzione, Roma, 3 aprile 2007[32] Burza V., La formazione tra marginalità e integrazione. Processi, percorsi, prospettive, Edizioni Periferia, Cosenza, 2002. p.140[33] Greco G., a cura di, Mediamorfosi. Conversazioni su comunicazione e società, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2000 p.136[34] Costa M., Il sublime tecnologico,Edisud, Salerno 1990 p.8.[35] Minichiello G. Aspetti di estetica dei media.Nuove dimensione nella percezione e nel pensiero in Multimedialità Cultura Educazione (a cura di ) G. Acone Editrice La Scuola , Brescia 1995 p.43-44[36] Notti A. Aspetti metodologici-didattici delle tecnologie informatiche in Multimedialità Cultura Educazione (a cura di ) G. Acone op. cit. p.84-86[37]Volpi G., Paideia ’80, Tecnodid, Napoli, 1987 p.5[38] Burza V., Formazione e persona. Il problema della democrazia, Anicia, Roma, 2003 p.102[39] Perfetti S., Educazione che cambia. La formazione nell’ era della comunicazione, Anicia, Roma, 2002.p. 141[40] P. Romei e L. Ribolzi[40] La qualità della scuola, Milano: McGraw Hill, 1991; Ribolzi L., Sociologia e processi formativi, Brescia: La Scuola, 1993.[41] Maslach C. e Leiter, Burnout e organizzazione , 2000 Erickson Trento[42] Giovanna Amore, in In Campania la qualità è…Rogiosi editore p.52[43] Ivi, p .53[44] ECO U. , “A che serve il professore?”, La bustina di Minerva in “L’Espresso” n° 15, 19 aprile 2007, p. 246.[45] D. LAWTON, Scuole per domani, in: E.J. KING (a cura), Insegnanti e società in evoluzione (1970), trad.it. Armando, Roma 1972, pp. 55-56.
Credo che vi sia molta superficialità nell'affrontare i problemi della scuola, un pressappochismo che lascia esterefatti. Se non è così allora il disegno di questo governo è chiaro: distruggere la scuola pubblica in favore della privata per ridurre le masse all'ignoranza e creare una società per pochi "eletti" nella futura classe dirigente.CHE PENA!!!!!!

giovedì 14 agosto 2008

BUONE VACANZE

Nell'augurare a tutti "buone vacanze" vi lascio un articolo di Raffaello Masci -La Stampa, che descrive lo stato della scuola come l'ha disegnato questo governo e il suo ministro Gelmini.
La scuola è una tematica seria, non possiamo lasciare la "licenza" di rovinarla ulteriormente.
E poi...dopo le vacanze il pensiero di tanti giovani, ma anche di tanti docenti e personale non docente è rivolto alla scuola...... un "esercito" di persone.....che scuola troveranno? Che scuola si aspettano?
Quali secondo voi le modifiche positive è quelle negative di questo governo per quanto riguarda questo "nevralgico" settore della società ,che dovrebbe essere il primo dei pensieri di una Nazione? I paesi nordici sono i primi in classifica (PISA-OCSE) per i migliori sistemi scolastici, ma ci siamo chiesti quanto investono e come investono nell'educazione e formazione delle giovani generazioni?
Chi volesse lasciare un commento può farlo liberamente, prometto di rispondere a tutti, al mio ritorno tra 10-12 giorni. Un bacione a tutti!!

UN COMMISSARIO PER LA GELMINI
La Gelmini «commissariata» e messa di fronte ad una «mission impossible», come l’ha definita il leader della Cisl scuola Francesco Scrima.
Il ministro ha illustrato ai sindacati l’agenda per la ripresa di settembre e la situazione è sconfortante: una cura dimagrante di tre anni ma la cui tabella di marcia deve essere approntata entro il 31 dicembre.
Tutto l’elenco comincia con l’avverbio «meno»: meno scuole (si parla di 1.600 accorpamenti), meno ore di lezione, meno indirizzi di studio (oggi sono 912), meno risorse per l’autonomia scolastica (e quindi meno libri, meno pc, meno corsi di recupero), meno personale (87 docenti e 43 mila impiegati). «Ma per decidere tutti questi tagli - dice Scrima - occorrono accordi sia con i sindacati per tutto ciò che riguarda la materia contrattuale, sia con gli enti locali che hanno competenza sulla rete scolastica.
E poi, che trattativa è quella in cui i risultati sono già tutti decisi?».Il ministro - dicono i sindacati - è in un vicolo cieco: «o riesce o salta tutto». Tant’è che Tremonti ha voluto affiancarle (articolo 64 della manovra, comma 7) «un comitato di verifica tecnico-finanziaria composto da rappresentanti dei ministeri dell’Istruzione e dell’Economia». «Di fatto l’hanno già commissariata». La sfida più difficile alla quale la Gelmini è attesa è certamente quella della «razionalizzazione» della rete scolastica. Le scuole sono 10.600 distribuite in 46 mila sedi. Un istituto per godere dell’autonomia deve avere un numero di allievi tra i 500 e 900. Moltissimi, però, specie in piccoli centri, sono oggi in «regime di deroga».
Ora l’ipotesi è di alzare il minimo a 600 allievi e di bloccare le deroghe: le 46 mila sedi resterebbero, ma le scuole come istituzioni potrebbero diminuire di circa 1.600 unità. Che vuol dire meno presidi, meno segretari, meno impiegati.
La finanziaria 2007 (approvata a dicembre 2006) prevedeva già tagli per la scuola distribuiti fino al 2009, per un totale di 1,4 miliardi di euro (1.432 milioni per l’esattezza). Il ministro Fioroni provò a fare la prima tranche di riduzioni (535 milioni nel 2007) ma ci riuscì solo in parte. Chiese, e ottenne, che il piano di rientro venisse «rimodulato»: stessa somma ma ridistribuita nel 2008 e 2009. Padoa-Schioppa accettò con la «clausola di salvaguardia», che vuol dire: ci riesci o no io quei soldi te li tolgo. Il conto, per quest’anno, è arrivato a quota 560 milioni.
Ora, dei 44,5 miliardi del bilancio dell’istruzione, 42 (pari al 97% del totale) sono bloccati per le spese di personale e quindi intoccabili, e due vanno a finanziare l’autonomia scolastica (cioè tutto: dai corsi di recupero per i debiti formativi fino ai detersivi per i pavimenti).Il resto sono briciole che si danno alle scuole paritarie (50 milioni circa) e alle spese in conto capitale (che non arrivano a 30 milioni). Conclusione: quei 560 milioni che la Gelmini non si ritroverà disponibili, saranno tolti all’autonomia delle scuole. Per ora la situazione è stato tamponata con una «pezza» da 200 milioni trovata dal Tesoro.
Ma il resto? Bisognerà tagliare, questa volta per davvero.
Con i fondi per l’autonomia si pagano anche i corsi per il recupero dei debiti formativi. Se non si troveranno altri soldi, il ministero teme la marea dei ricorsi, del tipo di quello avvenuto a Torino: poiché la scuola deve fare questi corsi, se non li fa non può nemmeno bocciare. Sarebbe un disastro per il sistema di valutazione.
Ma non è finita, perché al taglio ereditato da finanziarie precedenti (1,4 miliardi entro il 2009), il ministero dovrà aggiungere i 3,2 miliardi (3.188 milioni per l’esattezza) in tre anni varati dalla manovra attuale «e incassati dal ministro - lamentano i rappresentanti dei lavoratori - senza battere ciglio». Come realizzare questi altri risparmi è cosa che il ministro deve decidere entro Natale, aprendo una duplice trattativa, con i sindacati e con le Regioni.
I sindacati dovranno affrontare il taglio agli organici: 87 mila insegnanti in meno (67 mila di Tremonti e 20 mila di Padoa-Schioppa) e 43 mila impiegati, entro il 2011.Le voci su cui incidere le specifica la manovra stessa.
La prima è riformare le «classi di concorso», cioè i raggruppamenti di materie per cui un insegnante si candida a lavorare nella scuola: «italiano e storia», «matematica e fisica», eccetera.
Rivedere questo significa, per esempio, che un insegnante di lettere, non deve insegnare solo «italiano e storia» oppure «latino e greco», ma può fare per una parte di orario la prima cosa e per un altra parte la seconda. Questo eviterebbe il fenomeno degli «spezzoni» di orario dati a più insegnanti e agevolerebbe riduzioni di organico. Un altra questione è quella della riduzione dell’orario.
Soprattutto negli istituti tecnici si può arrivare a 36-40 ore a settimana. Un taglio del monte-ore comporterebbe una riduzione di docenti.Ma occorre rivedere anche l’eccesso di offerta formativa: oggi alla domanda «cosa studi?» un ragazzo può rispondere in 912 modi diversi. Si tratta soprattutto di indirizzi tecnici e professionaliMa su questi il ministero non ha competenza: ce l’hanno le Regioni.
Ma si può trovare un accordo quando alle regioni non sono state ancora trasferite le competenze sulla scuola stabilite dalla modifica del capo V della costituzione?Poi c’è il problema delle scuole da chiudere: altro scoglio impervio. Neppure su questo, però, il ministero non può decidere da solo.
"L'uomo è uomo quando non è testardo. Quando capisce che deve fare marcia indietro e la fa. Quando riconosce un errore commesso, se ne assume le responsabilità, paga le conseguenze e chiede scusa. Quando riconosce la superiorità di un altro uomo e glielo dice. Quando amministra e valorizza nella stessa misura tanto il suo coraggio quanto la sua paura." (da "Il Sindaco del Rione Sanità" Eduardo De Filippo)

Un pò di cambiamenti

Curando un altro blog di politica "La sinistra che Vogliamo " insieme ad un gruppo di amici blogger,questo blog è in effetti una "fotocopia" dell'altro.Per tale motivo ho deciso di apportare alcuni cambiamenti soprattutto nei contenuti.
La politica analizzata criticamente,secondo il mio punto di vista, sarà sempre presente ma,accanto ad essa cercherò di discutere anche di altre tematiche che riguarderanno la società e l'individuo,il pensiero speculativo antico e moderno,i problemi del nostro tempo che possono anche travalicare il campo della politica come "fatto" in se.
Spero di essere compresa da chi mi legge
B L O G I N
R I S T R U T T U R A Z I O N E

VASCO ROSSI _BASTA POCO_